Un martire del Sud. Don Peppe Diana

di Domenico Pizzuti sj


Ho letto con comprensibile interesse la ricerca storica di Sergio Tanzarella, Ordinario di storia della Chiesa, presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Sezione San Luigi, Napoli,
Don Peppino Diana. Un prete affamato di vita, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2024, pp. 212. Il sottotitolo fa chiaramente riferimento a “Affamato di quella vita che gli otto anni di del Seminario Minore avevano negato” (Ib., pp.6-7), che poi ha donato a piene mani nel ministero pastorale.

A dire dell’Autore manca una ricerca storica sulla testimonianza e la morte di don Peppino Diana, ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994, cioè “manca una ricerca storica sistematica d’insieme” (Ib., p. 18), a cui intende rispondere questo volume di studi sulla vita e l’uccisione di don Peppino Diana, che si avvale di una larga documentazione raccolta e utilizzata dall’Autore. "Occorre. quindi, una ricerca storica che permetta la ricostruzione della dimensione culturale, spirituale, pastorale di Diana in quanto prete" (Ib., p. 20).

All’inizio della ricerca storica presentata in questo volume in tre capitoli o sezioni, a nostro avviso, sono chiariti dall’A. alcuni obiettivi specifici di questa ricerca in relazione ad eventi riguardanti la sua memoria susseguenti alla sua uccisione per mano armata della camorra. In primo luogo, accuratamente si dedica a smontare le “cancellazioni della sua memoria” con calunnie ed accuse pretestuose da parte di organizzazioni criminali, stampa locale prezzolata, magistrati superficiali, istituzioni amministrative locali indifferenti. Fanno parte di una vicenda storica da chiarire per restituire alla verità la sua memoria che si voleva delegittimare.

In secondo luogo, analizza criticamente con solida argomentazione la fiction televisiva trasmessa dalla Rai nel 2014 a vent’anni dall’omicidio Per amore del mio popolo, le lacune, superficialità, contraddizioni di questa fiction che fa scrivere che si tratta di un don Peppjno Diana "totalmente falsificato a favore apparentemente del presunto spettacolo e dell’intrattenimento o delle esigenze narrative, ma contemporaneamente in realtà falsificato con precisi scopi mistificatori e di normalizzazione (...) ma anche soprattutto politici seppur ben camuffati nella promozione di una antimafia anestetizzante" (Ib., p.36).

In terzo luogo, di fronte all’assenza di contesto della fiction televisiva, l’A. dedica un capitolo ampiamente documentato al contesto di quegli anni caratterizzato dall’economia del terremoto con una ricostruzione infinita e sperperante ingenti somme di denaro pubblico, in parte controllata da clan delle organizzazioni criminali, una storia di ordinaria corruzione, con “il clima politico complessivo fondato su una mentalità camorristica e su un sistema di collateralismo monolitico”. Occorre ricordare il contesto nel quale visse la missione personale di Peppino Diana nei dodici anni di ministero “una società dove la camorra esercitava una quasi incontrastata egemonia lo espose ad altissimi rischi”.

Un impegno che si fondava su gli studi teologici, in particolare quelli biblici che gli avevano permesso di comprendere che non sarebbe mai diventato un funzionario del sacro, un asettico distributore di sacramenti e di certificati, un indifferente benedicente di morti ammazzati. Che non avrebbe accettato di tollerare le intimidazioni e la paura che la camorra imponeva a Casal di Principe e non solo (Ib., pp. 57-58) (Vedi anche Dire camorra oggi, Forme e metamorfosi della criminalità organizzata in Campania, a cura di Giacomo Di Gennaro e Domenico Pizzuti, Guida, Napoli 2009).

La ricerca prosegue con adeguata documentazione al periodo della formazione con gli studi teologici di don Peppino presso la Sezione San Luigi della PFTIM con un interesse particolare alla Sacra Scrittura che lasciò un segno profondo nella sua attività pastorale come viceparroco e parroco e con gli scout, e non lo lasciò indifferente di fronte alle sofferenze del suo popolo. Annunciando il Vangelo in una terra di oppressione, ha offerto, non l’eroismo dei superuomini, ma la testimonianza di un semplice parroco che non ha trovato giustificazioni per tacere ed ha cercato di capire cosa andasse fatto in quel luogo ed in quel momento per la liberazione del popolo.

La ricerca storica raccolta in questo volume si caratterizza per un’ampia documentazione che restituisce alla verità ed all’umanità la memoria di questo giovane parroco di Casal di Principe al di là dei tentativi di cancellazione della sua memoria Il suo omicidio nella sacrestia della sua Chiesa mentre indossava i paramenti per la Messa l’avvicina ad altri omicidi di preti all’altare, come quello di Mons Romero che venerava per la sua testimonianza e che Mons. Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta ha definito don Peppino “martire in Terra di Lavoro” e quindi uno di preti martiri del Sud con Don Puglisi ed il magistrato Livatino. Superando un certo necessario “localismo”, la sua memoria va inserita in un più ampio orizzonte non solo del Mezzogiorno ma della Chiesa italiana e soprattutto delle popolazioni meridionali. Il Tanzarella ha anche curato corsi ed interventi su figure significative del clero nella storia della Chiesa in Italia, cui si aggiunge questa recente ricerca storica su Don Peppino Diana.

La lettura di questo volume ce lo ha reso vicino e quindi uno dei martiri delle nostre terre meridionali, che ha offerto una testimonianza che interroga - in condizioni diverse di contesto - anche i preti di oggi al di là di una ritualizzazione del sacro, di un estetismo liturgico, della tentazione del cerchio mediatico che rischia di rendere sodali dei governanti di turno.

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